Una storia veneta – Caseificio Castellan Urbano
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Una produzione casearia che da oltre 50 anni punta su materie prime di altissima qualità, lavorate con un approccio lento e naturale.
Il Caseificio Castellan Urbano Rosà Vicenza
Tradizione famigliare, impegno sociale, dialogo, amore e rispetto per la Natura, cultura artigianale.
Fondato da Urbano Castellan nel 1969, il caseificio ha mantenuto negli anni la conduzione famigliare.
“Famigliare” – parola scelta non a caso – è la tecnica di produzione dei formaggi.
“Famigliare” è anche il rapporto con il territorio e con i fornitori.
Ancora oggi ci troviamo lì, dove questa storia di eccellenza ebbe inizio: lo stabilimento di Rosà, a due passi da Bassano del Grappa in provincia di Vicenza, immerso in un grande parco.
Vi lavorano 29 persone, in modo costante e appassionato, fra collaboratori e membri del management.
Una conduzione famigliare che negli anni ha saputo stare sul mercato con successo senza rinunciare alla propria identità, capace di innovarsi pur rimanendo uguale nella sostanza.
Una “famiglia allargata”, di cui fanno parte anche collaboratori e fornitori, accomunati dagli stessi valori.
Urbano Castellan
La nostra storia
I prati verdi con la loro erba buona e il clima sano rendono il territorio alle pendici delle montagne venete, la culla ideale per allevare quel bestiame che regala il buon latte con cui i caseifici della zona producono ottimi formaggi, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo.
Il caseificio Castellan di Rosà è una di queste realtà, presente sul mercato ormai da cinquant’anni grazie al suo fondatore, Urbano Castellan, nato a Rosà in quella che allora, nel 1939, si chiamava via Campagnola e che oggi è via dei Prati. La sua famiglia è numerosissima: è il quarto di ben 15 fratelli e i genitori, Antonio Castellan, classe 1907, ed Erminia Cuccarolo, lavoravano come mezzadri le terre di proprietà dell’Orfanatrofio femminile di Bassano.
Tempi duri quelli, quando Urbano è giovane e sa che deve darsi da fare perchè le bocche da sfamare sono tante, magari gli tocca anche andare lontano, lasciare i campi verdi e l’aria buona di Rosà, come toccava a tanti in quegli anni. Come era toccato anche all’amico Giovanni Baggio, che è già a Zurigo da qualche tempo a lavorare per un’impresa edile. E’ proprio lui a fargli da garante e a procurargli l’atto di richiamo che gli permette di trasferirsi in Svizzera per lavorare.
Così, a 19 anni, Urbano parte e rimane per ben 3 anni a lavorare come manovale. A Rosà ci torna nel 1961, ma deve subito ripartire, questa volta per il servizio militare che svolge a Belluno nel VII Alpini, per 18, lunghi mesi. Sembra proprio che il destino di Urbano sia diverso da quello dei genitori: la terra su cui è nato e che lo ha nutrito, lui la deve conoscere da un’altra prospettiva, dal finestrino di un camion, per l’esattezza, con cui, tornato dal servizio militare, comincia a trasportare imballaggi per frutta e verdura per conto di Ernesto Campana, titolare di una segheria di San Nazario che lo ha assunto come autista. E Urbano è bravo, va in giro facendo tesoro di tutto quello che incontra lungo la strada. E già dopo 10 mesi sa bene come muoversi e decide di provarci da solo a percorrere questa strada, mettendosi in società con una ditta di Cavazzale che gli fornisce, in cambio del suo lavoro e delle sue conoscenze, i mezzi di trasporto; due anni e mezzo dopo riesce a rendersi indipendente anche con i mezzi e comincia a commerciare paglia, fieno, uva e angurie, girando per tutto il Veneto e la Lombardia.
Nel 1967 si sposa con Armida Bordignon e l’anno successivo nasce Sonia, la loro primogenita. Il lavoro è massacrante ma va bene, i guadagni sono alti e Urbano ha buon fiuto per gli affari, ma soprattutto ha spirito di iniziativa.
Nel 1969, con i soldi che ha messo da parte, decide di prendere in affitto per 3 anni il Caseificio di via Marconi, a Rosà, di proprietà dell’ex sindaco del paese, il Cavaliere Stefano Carli. Carli ha conosciuto Urbano tramite Umberto Croda, già casaro presso il caseificio, e ha visto in lui la persona giusta, affidabile, con una buona rete di conoscenze acquisita grazie al lavoro nei trasporti e la fama di un uomo volenteroso e perbene, adatto, insomma, a portare avanti un’attività per cui i figli del Cavaliere avevano dimostrato poca inclinazione. Urbano, dal canto suo, sceglie di buttarsi in questa nuova avventura: lui è uno di quegli uomini veneti che cercano le opportunità dappertutto, con gli occhi che brillano quando vedono una possibilità e che non hanno paura del duro lavoro.
Il caseificio che Urbano prende in affitto può contare anche su un allevamento di maiali, ma l’ambiente è vecchio e bisognoso di un poderoso rinnovamento. Urbano non si spaventa e, nel 1972, acquista con i soci 40.000 metri di terreno e, assieme ai fratelli Renato e Luciano, costruisce un nuovo allevamento, passando così da 500 a 5000 maiali, e poi una nuova struttura casearia: dai 20 quintali di latte prodotti al giorno, si passa a 400 quintali. Un bel salto.
È il 1975, Urbano nel frattempo è diventato padre di altre 2 figlie, Manola (nel 1970) e Sara (nel 1972), mentre la più giovane, Elisa, nasce nel 1980. Gli anni ottanta gli portano anche le possibilità di intraprendere altre attività e lui non è uno che si tira indietro se c’è qualcosa da fare: assieme ad alcuni amici si avvicina all’ambito immobiliare, con il fratello Lorenzo inizia a gestire una viteria e, negli anni novanta, un allevamento di conigli e fagiani con i fratelli Luciano e Alberto.
La famiglia Castellan è grande, ma ha saputo fare di questa grandezza una forza, anziché una debolezza, collaborando tra fratelli nei diversi settori. Il caseificio di Urbano oggi si è specializzato nelle qualità di formaggi prodotti, conta una trentina di dipendenti e ha il vanto di mantenere viva la grande tradizione casearia del bassanese con risultati che sfidano la concorrenza europea grazie a una bontà e a una genuinità che affondano le loro radici proprio in quel territorio che Urbano, tanti anni fa, aveva percorso in lungo e in largo con il suo camion.
B.B. (tratto da HANNO FATTO ROSA’ – Storie di un Paese che lavora)